Covid-19: una vera pandemia?
Oggi vorrei proporvi una riflessione, dati alla mano, che spazzi via tanti fattori superflui e ci riporti al fulcro, alla sorgente di tutta la situazione in cui ci troviamo, nostro malgrado.
Ultimamente sento spesso dire tra i detrattori del green pass, e da chi ha ancora qualche forma di pensiero critico, cose del tipo “la pandemia c’è, ma ora abbiamo le cure”, ” la pandemia c’è, ma il virus si è indebolito”, ” la pandemia c’è, ma i vaccini non sono sicuri”, “ok, il green pass non serve a niente, ma come facciamo a uscire da questa pandemia”? Sicuri che la premessa sia giusta?
Fino al 2019, a parte qualche tentativo mediatico, sempre fallito, di proporci come pandemia la Mers, la suina, l’aviaria, quando pensavamo a una pandemia, ci venivano in mente cose come la peste nera e, più di recente, l’influenza spagnola.
Un male terribile che aveva decimato l’Europa e mietuto 600.000 vittime solo in Italia, un morbo che colpiva tutti: anziani, bambini, ragazzi, uomini forti e donne in salute. Un male che non guardava in faccia a nessuno, che falciava chiunque ne venisse a contatto.
Bene. Confrontiamola col SARS-COV2 e la malattia che provoca: il COVID-19.
Attenzione: ci sarà da parlare di numeri. Non dare i numeri. A quello ci pensano già i media mainstream.
A ottobre 2020, l’età media dei pazienti deceduti e positivi al SARS-COV2 era 80 anni.
Al 5 ottobre 2021 (ultimo report ISS)? Ancora 80 anni.
E qual era l’età media di morte in Italia nel 2019? 81,4 anni.
Questo cosa significa, in poche parole? Che il COVID ha tolto 1 anno e mezzo di vita perlopiù a persone anziane, generalmente molto malate.
Infatti il 97,1% dei morti positivi al COVID aveva almeno 1 patologia grave concorrente, e ben il 67,5% ne aveva 3 o più.
Quindi il COVID uccide principalmente chi è anziano e malato. Persone sicuramente degne di vivere, ma che comunque, statisticamente, sarebbero morte 1 anno e mezzo dopo.
Ecco perché tendo a definire questa malattia un “acceleratore di mortalità”. Questo aumento della mortalità verrà probabilmente compensato nei prossimi 2 anni, in cui la mortalità sarà in calo dal momento che le persone più fragili, ahimè, ci avranno già lasciato. Anche se purtroppo, all’orizzonte ci sono già altri aumenti della mortalità dovuti a cause correlate alla mala gestione della “pandemia”: aumento dei suicidi, aumento di morte per ogni patologia (per via della scarsa attenzione prestata alle altre patologie), dipendenze, depressione, etc. etc.
Ma parliamo dei giovani. In Italia, nel 2019 c’erano 25 milioni di persone con < 40 anni.
Di queste, in 2 anni, sono morte, positive al COVID: 355 persone. E di queste, solo 44 non avevano alcuna patologia concorrente.
44 morti Under 40 su 25 milioni (0,000176%) e il Governo pretende che questa fascia di persone si inietti un siero sperimentale che già adesso ha prodotto (nono rapporto AIFA) oltre 100mila reazioni avverse, di cui 14.560 gravi quando, guarda caso, queste reazioni avverse sono largamente concentrate nella fascia 20-59 anni?!
Va anche detto che, fatta eccezione per la fascia 50-59, che risulta quella che ha subito più somministrazioni del vaccino, e ragionevolmente è anche una delle fasce più colpita dalle reazioni avverse, l’incidenza di reazione avversa è del tutto sproporzionata per fasce come la 30-39, che si è sottoposta a una quantità ridotta di vaccinazioni ma presenta, di contro, il più alto tasso di reazioni avverse al vaccino.
È bizzarro notare la macabra complementarietà tra la fascia di popolazione più soggetta al COVID, e quella più soggetta alle reazioni avverse da vaccino. Si intersecano quasi alla perfezione tra loro. Nessuna correlazione?
Difficile stabilirlo. D’altra parte, va anche sottolineato come, mancando la farmacovigilanza attiva, i dati sulle reazioni avverse sono più che parziali. Si stima che i numeri reali possano essere 10 volte superiori, e per il momento è impossibile fare alcuna ipotesi sulle reazioni a lungo termine.
Ma parliamo brevemente anche della reazione avversa più temibile: la morte.
A oggi, in Italia sono stati segnalati 608 casi di morte per reazione avversa al vaccino. Di questi, il rigido e conservativo algoritmo dell’OMS fa sì che soltanto 16 siano risultati correlabili. Sono comunque 16 persone che probabilmente non avrebbero avuto niente da rischiare se avessero contratto il COVID. Persone con decine di anni di vita davanti a sé.
In conclusione: l’assoluta staticità dei dati epidemiologici relativi al COVID negli ultimi 2 anni, in particolare all’età media di morte degli affetti, e la sua corrispondenza quasi perfetta con l’età media di morte della popolazione, configura questa malattia come una non-pandemia. I suoi effetti gravi si esperiscono quasi esclusivamente su persone anziane con pluripatologie, con un’aspettativa di vita molto ridotta già in partenza.
La fascia di popolazione under 50 deve, di contro, prestare molta attenzione agli effetti avversi da vaccinazione. Una vaccinazione del tutto inutile su quella fascia, che praticamente nulla ha da temere dal COVID, anche in caso lo contraesse.
Le soluzioni restano dunque quelle di sempre: prevenzione, cure precoci e, soprattutto tanta consapevolezza e ragionamento critico.
Gabriele Nannetti